Criticità nel Credit Management

È superfluo rimarcare che una gestione poco attenta dello scaduto, specie se attuata da imprese afflitte da tensioni finanziarie endogene, penalizza anche la gestione del debito. Errate strategie di recovery non consentono di disporre della liquidità necessaria a pagare i fornitori e specie se vi sia una poca attitudine a gestire gli atteggiamenti intimidatori dei creditori la gestione del ciclo passivo e delle forniture subisce gravi contraccolpi.

Non per niente, i crediti impagati sono annoverati fra le prime cause delle crisi aziendali, molte delle quali trovano appunto origine in una cattiva politica del credito. È indubbio, quindi, che in tema di Credit Management e di azioni di recovery i margini di miglioramento siano importanti e le metodologie dovranno essere messe a punto con più attenzione di quella prestata finora.

Emerge un gap significativo, più che in termini di know-how, nella sostanziale assenza di strategie calate sulle molteplici problematiche. Le logiche di recupero sono per lo più caratterizzate da approcci standardizzati che non tengono conto delle molteplici sfaccettature che contraddistinguono ogni singolo incaglio di pagamento e, più ancora, degli andamenti dei mercati di appartenenza dei debitori. La mancanza di informazioni veritiere riguardo all’effettivo stato di salute dei debitori, monitorabile attraverso sopralluoghi e approfondite analisi di bilancio, provoca la messa in atto di comportamenti che divengono troppo severi, verso chi è in difficoltà, e troppo indulgenti verso chi ritarda volutamente i pagamenti.

Una gestione delle insolvenze grossolana e aggressiva finisce per penalizzare il rapporto di fiducia fra cliente e fornitore prima che le controversie diventino insanabili. Molte spaccature che si potevano evitare incrinano i rapporti commerciali e congelano le morosità, senza risolverle. La fase ufficiale di recupero viene spesso avviata prima dei doverosi tentativi di ricercare soluzioni amichevoli e negoziali.

Maggiori abilità di incasso sono invece imprescindibili per molte imprese che intendano migliorare il proprio rating, più che per un doveroso contenimento del costo del denaro, per la disponibilità oggettiva dello stesso. Parimenti, un approccio più attento e circostanziato favorirà anche i gestori di stock di crediti che grazie a specifico know-how in fase di esazione, sebbene rispettoso di un contesto economico da preservare, aiuterà a migliorare le performances e a rendere più profittevole un settore in crescita.

È anche doveroso precisare che i problemi di pagamento non riguardano solamente i creditori – la cosiddetta “parte lesa” – a cui viene generalmente prestato soccorso – ma coinvolgono una pletora di debitori soggiogati anch’essi da un credit crunch invalidante. Molti di loro sono impreparati a gestire i ritardi di pagamento con il giusto approccio e non sono in grado di fronteggiare le pretese (non sempre lecite) dei creditori, anch’essi in difficoltà. L’incapacità di gestire i crediti si traduce, allora, nella difficoltà a gestire i debiti e questo provoca un effetto a catena senza soluzione di continuità.

Una scarsa predisposizione alla risoluzione consensuale delle controversie, ad esempio, siano esse di natura finanziaria o tecnica, produce atteggiamenti spesso estremi che vanno dall’interruzione delle forniture fino all’avvio precipitoso di procedure di recupero coattivo costose e destabilizzanti. Non emerge, cioè, la consapevolezza che moltissimi problemi di pagamento/incasso potrebbero essere gestiti in ottica risolutiva anche in presenza di difficoltà oggettive o quando i margini di trattativa paiono flebili. E anche dove gli incagli potrebbero essere affrontati in via negoziale, ricercando soluzioni tese innanzitutto a liberare la liquidità incagliata, a monte o a valle della filiera produttivo-commerciale, un’aggressività ritenuta risolutiva finisce per penalizzare tanto i creditori quanto i creditori.

Incapacità e lassismo incentivano l’avvio di azioni spesso inadeguate che inducono tanto all’aggressività (avvio di procedure di recupero tese ad indebolire la controparte) quanto alla sostanziale rinuncia ai propri diritti dichiarando perdite anche in presenza di concrete possibilità di recupero.

Provando a sintetizzare la situazione, i margini di crescita giustificano, o impongono, la ricerca di qualcosa di nuovo.

L’etica nel Credito

L’Etica nel Credito, intesa come l’introduzione di metodologie inclusive basate sul rispetto dei soggetti in difficoltà, oltre che sui positivi risvolti economici che potrebbero derivare dallo sviluppo di atteggiamenti più responsabili e attenti, non dovrebbe essere ritenuta virtuosa solo poiché corretta ma tesa a rappresentare l’unica chances di rivitalizzare un’economia stanca. Una cultura che ponga di nuovo al centro le imprese e le persone non andrebbe quindi vista come necessaria, per ragioni essenzialmente etiche – sebbene doverose – ma quale possibile panacea di uno scenario complesso che richiede gioco di squadra.

Ethical Credit è una nuova branca del Credit Management che trae origine dalle linee guida enunciate nel più ampio “disegno” Innovazione Etica che sollecita maggiore impegno nella ricerca di modelli di sviluppo e di business sostenibile inclusivi e volti alla tutela degli ecosistemi, anche economici.

Ethical Credit sprona soprattutto le grandi imprese a promuovere atteggiamenti di “responsabilità economica” attraverso un inedito impegno a limitare i comportamenti che possano danneggiare in primis le imprese minori. Ma questo, non solo a favore dell’apertura di una stagione di ripresa sorretta da un clima di reciproco rispetto, che si auspica divenga collaborativo, ma proprio perché l’adozione di strategie attuative volte alla soluzione amichevole di una moltitudine di incagli – per restare su aspetti squisitamente inerenti alla gestione del credito – è molto più efficace, tanto per debitore quanto per il creditore.

Politiche del credito a sfondo etico, infatti, produrranno benefici anche nei confronti di chi le attua e daranno ossigeno ad una moltitudine di imprese che, in difetto, non riusciranno a sopravvivere. E se ciò avvenisse, le ripercussioni economiche all’interno di paesi sorretti dalla pletora di realtà medio-piccole, come l’Italia, sarebbe devastante.

Scenario pagamenti

I ritardi di pagamento si possono annoverare sia fra gli effetti che fra le cause di una fase congiunturale incerta che sta alterando le economie nazionali e internazionali. 

I comparti più penalizzati sono i tessuti produttivi locali spossati dalla contrazione dei volumi e da un credit crunch perpetrato da un sistema creditizio che subisce anch’esso i contraccolpi delle insolvenze che riguardano anche il settore immobiliare e del credito al consumo. Recenti norme comunitarie, tese a garantire la stabilità delle Banche più esposte, hanno aggravato lo scenario imponendo una stretta ai finanziamenti alle imprese (v. Basile 3), nel rispetto di un coefficiente sempre più stringente fra patrimonio netto e prestiti concessi, che si è ripercossa sulle imprese innanzitutto minori (PMI).

È un salto di qualità della crisi, potremmo dire, perché le Banche apparivano solide, nonostante tutto, capaci cioè di sostenere un trend di sviluppo economico che da entusiastico è divenuto flebile, con l’apertura dei mercati, e che adesso deve anche fare i conti con una liquidità che non viene immessa nel mondo produttivo, complici i bassi tassi d’interesse e una bassa marginalità legata alle attività di erogazione.

Il nostro attuale è un quadro fosco, dunque, evidenziato sia dai recenti focus sulla situazione dei pagamenti, italiani e UE, che dalla mole di NPL che appesantiscono i bilanci di banche e imprese.

Una cultura di Credit Management non sempre all’altezza della situazione non aiuta a fronteggiare il fenomeno dei mancati pagamenti e pare impreparata ad affrontare una situazione di inedita difficoltà. Non emerge, ad esempio, la capacità di comprendere che nei mercati globali il rapporto di causa-effetto fra gli atteggiamenti adottati e i conseguenti effetti collaterali, finisce per penalizzare tanto i debitori quanto i creditori.  

Azioni incuranti delle difficoltà delle imprese in crisi finiscono per ripercuotersi perfino sulle realtà sane. Ed è la globalizzazione che lega tutto e tutti a doppio filo ad imporre un’attenzione inedita che non può più solo riguardare la propria salute ma, strano a dirsi, anche quella degli altri.

I volumi di NPL e UTP parlano chiaro e le molte sofferenze che minano la stabilità delle imprese, delle banche e delle economie nazionali e comunitarie ne sono la prova. L’entusiasmo che accompagna le cessioni di NPL pare dunque eccessivo e perfino immotivato sia perché il pricing di molte operazioni è quasi sempre irrisorio e sia perché, a ben vedere, il problema dei mancati pagamenti è stato semplicemente spostato, non certo risolto. Le s-vendite dei crediti tossici generano ottimismo ma la bolla speculativa generata dalle molte cartolarizzazioni che hanno seguito lo smaltimento dei crediti deteriorati, sebbene sorretta da garanzie statali (GAGS), potrebbe anche scoppiare, se dopo i molti “cambi di mano” i crediti non saranno recuperati.